Impariamo dall’emergenza Coronavirus ad affrontare la crisi climatica

di Giorgio De Girolamo, FFF Lucca​

Tutto si è fermato, ci siamo riusciti. È stato sufficiente qualche decreto per arrestare il treno delle nostre abitudini, i vagoni dei nostri vizi e dei bagagli riposti sotto i sedili, che ci accorgiamo essere tutti, o quasi, interamente superflui quando ci è richiesto di scendere improvvisamente dalla corsa, ancor prima di essere entrati in stazione, e di tornare al più presto alla propria dimora, a godere o a subire, dipende dai punti di vista, un riposo forzato. Rispettiamo, quindi, con grande senso civico e morale, del “devo perché devo”, gli obblighi che ci sono imposti, le limitazioni alle nostre libertà individuali ed ognuna delle puntuali misure volte a scongiurare un collasso sanitario. Rinunciamo anche alla Vita, nel suo senso più autentico, alla vita che è socialità, scambio, scontro, conflitto, ma sempre una fitta rette di rapporti umani, che talvolta possono anche stancare ed indurci al desiderio di ascetici isolamenti, ma che ci accorgiamo essere essenziali proprio quando ne siamo privati. E che mai potranno essere sostituiti da uno schermo.

Il Covid-19, ormai lo sappiamo, non è certo il più mortale dei virus e presenta gravi criticità solo nei malati più anziani, ma ha allo stesso tempo una grande capacità di contagio che il nostro sistema sanitario, come qualunque altro, non è in grado di tollerare se è estesa oltre una certa soglia. È stata  quindi davvero necessaria una tale prontezza e decisione politica. Ma siamo certi che questa coraggiosa tempestività debba essere riservata solo a casi tanto estremi?

Rientrata questa emergenza, tante domande sorgeranno spontanee. Se di fronte ai moniti degli scienziati sulla crisi climatica (“restiamo sotto 1,5°C di aumento della temperatura media globale!!!”) potranno essere date risposte chiare e non solo ipocritamente “politically correct”. Se dinanzi ad un pianeta più caldo di 1°C rispetto al 1860, alla desertificazione e alle carestie che ne conseguono, alle centinaia di milioni di migranti climatici previsti per i prossimi decenni, si potrà finalmente agire con efficacia e coscienza del pericolo. Se fenomeni meteorologici sempre più estremi, se la minaccia stessa di una consistente decimazione della specie umana, anticipata da lunghe e prolungate sofferenze, (e non siamo solo noi piccole Cassandre o profeti di sventura a sostenerlo, ma, come detto, la quasi totalità, meno qualche voce corrotta o narcisista, della comunità scientifica), potranno indurre la politica a cooperare globalmente sottraendosi al giogo dell’economia capitalista; potranno mettere, come sta accadendo in questi giorni, la Vita davanti al Profitto. La decarbonizzazione davanti alle lobby del fossile, la necessità di un radicale cambiamento davanti ai cospicui interessi di una privilegiata minoranza.

Servirà molto di più di un’infinita lista di misure restrittive e della preziosa costanza ed energia del personale sanitario e di tutto il comparto pubblico e privato coinvolto in questi tristi giorni, nell’ora più buia, come l’ha definita il nostro presidente Conte citando Winston Churchill. Lo stesso Churchill gridava che “non si dovrebbe mai voltare le spalle di fronte alla minaccia di un pericolo, per evitare di raddoppiare il rischio”, parole abusate ma tuttora preziose. Servirà molto di più dei  nostri attuali sacrifici, di qualche settimana passata in casa nella rinuncia alle nostre abitudini, anche se nutriamo la speranza che le ricadute sociali ed economiche sulle fasce più deboli e indigenti siano contrastate con estremo sforzo. Servirà molto di più in termini di cambiamento, ma non sarà solo sacrificio e rinuncia, bensì un cammino verso un più luminoso orizzonte.

Sarà necessario ripartire attuando una transizione energetica, economica e produttiva senza precedenti, che sconvolga gli equilibri sviluppatisi in oltre due secoli di continue rivoluzioni industriali e tecnologiche e che riformuli il ruolo dell’uomo nel rapporto col circostante, con i suoi simili e con la natura, vittime entrambe di un incontrollato dispotismo.

Dipenderà dal nostro coraggio e dalla nostra consapevolezza, soprattuto dalla disponibilità che avremo a cambiare noi stessi. Dall’abilità, che oggi dimostriamo di avere, di trasformare un’angoscia in paura, quindi la vaghezza di una minaccia, in un definito nemico da affrontare ed abbattere. Ma la politica, il potere che può con giustizia elevare l’individuo arginando una reazionaria burocrazia, avrà, come in questi giorni, un ruolo decisivo nell’affermare, nel rispetto anche di un principio di responsabilità per le generazioni future (che non vanno alle urne), la propria volontà di rivoluzione. (Green)

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